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Cos'è la self compassion e come può aiutarti nel lavoro
Newsletter Lavoro 15 maggio 2023
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Le clienti degli ultimi mesi mi hanno portato a dover riprendere in mano un tema che avevo un po' lasciato da parte negli ultimi tempi, e che ho ripreso volentieri a studiare anche perché lo ritengo un tema davvero importante in questo periodo storico così complicato e di così grande trasformazione.
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Il tema è quello della self compassion, la cui più grande studiosa è Kristin Neff (puoi trovarla qui, e uno dei suoi libri è stato anche tradotto in italiano).
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La compassione (patire con, partecipare alle sofferenza altrui) rivolta verso se stess@ è qualcosa che nella mia testa ha spesso avuto una connotazione negativa, la associo facilmente al compatimento - che non è un concetto che mi piace molto perché trovo che sia non una relazione paritaria ma molto dispari tra chi compatisce (e sta un po' sopra) e chi è compatito (che invece sta un po' più in basso).
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Ma il concetto di self compassion elaborato da Kristin Neff è un po' più articolato e mi ha da subito affascinato per vari motivi, il primo dei quali è che riguarda noi stessi, il secondo dei quali è che parla di una relazione/situazione paritaria in cui dobbiamo mettere noi stessi e gli altri, ma una volta tanto si concentra su di noi, appunto, ricordandoci che dobbiamo sostanzialmente trattare noi stessi come tratteremmo un amic@ che vive un momento difficile.
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Siamo di solito piuttosto brav@, infatti, a essere comprensivi e teneri con un amic@ che sta soffrendo, mentre tendiamo a fustigarci quando questo succede a noi, reagendo con pensieri e parole che sono più nel senso di "dai, reagisci" che non di "prenditi cura di te".
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La ragione è spesso di tipo culturale: siamo stati abituati a fare così, e così facciamo, senza renderci conto che sarebbe più facile fermarci e "riposare" piuttosto che continuare ostinatamente.
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Cosa c'entra tutto questo con il lavoro? Un sacco.
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Chi arriva da me, arriva spesso con questa convinzione ben radicata, e benché abbia tutto il desiderio e la volontà di uscire da una situazione lavorativa pesante, difficile, faticosa... oppone un'estrema resistenza. E' come se una voce da dentro sussurrasse: "Devo insistere, devo smettere di piangermi addosso, devo resistere qui, essere forte, eccetera.
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Insomma essere una roccia anziché un giunco... anche se come ripetuto in tanti proverbi, a volte un giunco - che si piega ma non si spezza nella tempesta, è meglio di una roccia.
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Cosa possiamo quindi trarre di buono dalla self compassion? Come possiamo utilizzarla per stare meglio, in questa fase storica di grande fatica lavorativa (ma non solo)?
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Il suo utilizzo è uno dei maggiori fattori protettivi contro l’ansia e la depressione e perciò ti propongo alcune riflessioni e alcuni esercizi, che ti suggerisco di fare con carta e penna, prendendoti un po' di tempo senza distrazioni (tratti da La self-compassion, di Kristin Neff)
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Lascia andare le autodefinizioni
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La compassione è, per definizione, relazionale, significa letteralmente “soffrire con”, il che implica una reciprocità di base nell’esperienza della sofferenza. L’emozione della compassione sorge dal riconoscimento che l’esperienza umana è imperfetta.
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Il bisogno di appartenenza, quindi, è fondamentale sia per la salute fisica che per quella emotiva: le persone che si sentono connesse agli altri non sono così impaurite dalle circostanze difficili e tengono a mente che anche nelle migliori circostanze, gli altri non sono sempre in grado di farci sentire che apparteniamo e che siamo accettati.
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Le opportunità di apprendimento fornite dagli errori possono in realtà aiutarci a raggiungere i nostri sogni.
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Se osserviamo da vicino le nostre incapacità personali, diventa subito chiaro che non sono lì per scelta. Di solito, circostanze esterne collaborano alla formazione di pattern particolari senza il nostro input.
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Prendi quindi carta e penna e pensa a un tratto distintivo per cui spesso ti giudichi e che è una parte importante della tua autodefinizione. Per es, potresti pensarti come una persona timida, pigra, arrabbiata e così via. Poi fatti le seguenti domande:
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1 . Ogni quanto mostri questo tratto? Spesso, qualche volta o occasionalmente? Chi sei quando non mostri questo tratto? Sei ancora tu?
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2 . Ci sono particolari circostanze che sembrano far uscire il tratto, e altre in cui non è apparente? Questo tratto ti definisce veramente se si devono verificare circostanze particolari per farlo emergere?
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3 . Quali sono le cause e condizioni che hanno portato in primo luogo ad avere quel tratto (esperienze familiari, infanzia, genetica, stress, ecc .)? Se queste forze esterne sono state parzialmente responsabili nel farti avere questo tratto, è accurato pensarlo come riflesso della tua interiorità?
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4 . Hai scelto di avere questo tratto e hai margine di scelta sul mostrarlo o meno? Se no, perché ti stai giudicando per il fatto di averlo?
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5 . Che cosa succede se riformuli la tua auto-definizione in modo che non definisci più te stesso in base a quel tratto? Per esempio, invece di dire “Sono uno che è sempre arrabbiato”, cosa succede se dici “Qualche volta, in alcune circostanze, mi arrabbio”?Non identificandoti così profondamente con questo tratto, cambia qualcosa? Puoi avvertire più spazio, libertà, pace mentale?
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La mindfulness nella vita di tutti i giorni
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Un ingrediente essenziale della self -compassion è la mindfulness. Il termine si riferisce alla visione chiara e all’accettazione non giudicante di ciò che sta avvenendo nel momento presente. Ovvero , guardare in faccia la realtà.
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Scegli un’attività al giorno in cui sarai mindful. Può essere quando ti lavi i denti, mentre cammini dal posteggio al lavoro, mentre fai colazione, o ogni volta che suona il cellulare. Potresti scegliere un’attività che fai la mattina presto per aiutarti a ricordare di essere mindful prima di essere sopraffatto dai compiti da svolgere della vita quotidiana. Mentre sei impegnato nell’attività mindful (ad es nella camminata dal posteggio all’ufficio), porta la consapevolezza focalizzata sull’esperienza corrente nel momento presente. Cerca di non cominciare immediatamente a pensare a quello che devi fare una volta arrivato in ufficio. Nota semplicemente cosa provi camminando. Cosa senti nei piedi mentre toccano terra? Puoi notare il cambiamento di sensazioni quando il piede sale e scende? Cosa senti nelle gambe quando si muovono, quando il peso si sposta dalla destra alla sinistra?
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Per ora è tutto, buoni esercizi e alla prossima!
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PS: ho aperto le iscrizioni al nuovo gruppo di Mentoring per donne che lavorano in proprio, che parte in autunno. E' un gruppo in cui confrontarsi e supportarsi nel lavoro, in un ambito - quello autonomo - che spesso è molto solitario.
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Chi sono
Sono una Job coach e una Life coach: il mio lavoro consiste nell'aiutare le persone a essere soddisfatte e felici di quello che fanno e di quello che sono, aiutandole a trovare una nuova strada, sul lavoro e nella vita. Perché la strada giusta c’è, per ognuno di noi. A volte però abbiamo bisogno di qualcuno accanto che faccia il tifo per noi, ci aiuti nella ricerca, ci dica come fare per trovarla: quella sono io.
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Grazie per avermi accolta nella tua inbox, è un privilegio per me!
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