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Torniamo a noi
Newsletter Lavoro 15 settembre 2022
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Sono giorni che penso a qualcosa da scrivere in questa newsletter di rientro, e sono indecisa tra un ottimismo che mi sa di carie ai denti e un pessimismo cosmico che, diciamocelo, non aiuterebbe, né me né te.
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Provo con una via di mezzo e spero di riuscirci.
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Tutta questa ansia (legittima) da rientro mi ha un po' stufato, ho 50 anni e sono 50 anni che ad agosto l'Italia si ferma e io mi chiedo quando cambierà. Mi chiedo anche che senso abbia correre come pazzi per 11 mesi, arrivare sfiniti e fare 2, o quando va bene bene 3, settimane filate di vacanza.
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Da tempo per me questa cosa non ha più senso, e quest'anno (inteso sett 22 - agosto 23) sto organizzandomi per fare le cose diversamente, e per fare molte più "interruzioni" durante i 12 mesi piuttosto che una lunga interruzione estiva. Del resto, se ciò che tutti cerchiamo e che le aziende pretendono da noi è questa - a tratti fantomatica - produttività, forse è il caso di capire che la produttività non può rimanere uguale per 11 mesi filati, e poi essere di nuovo al top dopo 2 o 3 settimane di ferie.
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Se è questo il modo in cui pensiamo di tener testa all'automazione mi sembra ridicolo.
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Anche perchè il risultato è che le persone si ammalano, scappano, si distraggono, fanno altro, qualsiasi cosa pur di uscire dalla ruota incessante del criceto.
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Qualche giorno fa ho letto un articolo nel quale dei giovani (sotto i 30 anni) raccontano la loro esperienza di burnout, l'ansia, l'insonnia, la stanchezza infinita, l'azzeramento della vita fuori dal lavoro. Che diavolo ha a che fare tutto questo con la produttività? Questo è solo schiavismo, nemmeno lavoro. Ed è inaccettabile.
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Quando parlo con i miei clienti o con gli studenti a cui faccio lezione di lavoro soddisfacente spesso mi guardano con disillusione: ma di che parli?
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Io lo so benissimo che là fuori il lavoro è una roba spesso brutta, alienante, brutale - ma ci sono anche delle eccezioni! E sono convinta che ognuno di noi ha voce in capitolo, che può fare la sua battaglia, che può ottenere qualcosa, che può cambiare qualcosa. Certo, meglio sarebbe se si unissero le forze, ma se non ci sono le condizioni per farlo qualcosa si può fare lo stesso. E la prima è non arrendersi. Del resto, e non sarà un caso, sono figlia di un sindacalista.
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Partire dal presupposto che le cose possono cambiare e in meglio (nonostante il nostro immobile paese!), anziché dal presupposto che nulla può cambiare, e che non possiamo farci niente, è faticoso. Lo so molto bene. Invece dirsi che "tanto nulla cambierà" è molto comodo, non comporta nessuno sforzo e nessun rischio. Ma quanto è utile?
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Cambiare
Poi c'è il tema della fretta: vogliamo tutto, subito. Vogliamo cambiare e farlo alla svelta, così come quando ci chiedono di fare qualcosa al lavoro e va fatto per...ieri. In alcuni casi (forse) è possibile, in altri meno: nel mio campo il cambiamento somiglia molto più spesso a una goccia cinese che a un'eruzione vulcanica. Prima dell'estate mi ha scritto una cliente con cui avevo lavorato nel 2018, su un cambio di lavoro. Finito il percorso, messe a fuoco alcune cose e chiarite altre, scritto anche un bel cv... non ha cambiato lavoro. Poi a luglio 2022 mi ha scritto: "Dopo tanto titubare, ho completato il cv e mi sono candidata per due posizioni, ho fatto colloqui per una e domani vado a discutere per accordarci sul preavviso. Comunque vada: grazie! Senza di te non avrei mai cominciato, non avrei nemmeno saputo da dove cominciare!"
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Il cambiamento, se ci credi e ti impegni, arriva. Se lo aspetti e basta, no.
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Sto leggendo
Dicembre è un mese crudele, di Elisabeth George (giallo)
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Patriarchy, di Valerie Rein (l'avevo abbandonato, ora lo sto riprendendo)
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Minimalismo nel business, di Paul Jarvis
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Sto ascoltando (podcast)
Quiet ambition di Ruth Poundwhite (per imprenditrici sensibili e/o introverse; in inglese)
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L'educazione responsabile, di Alli Beltrame (sull'educazione dei figli)
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Chi sono
Sono una Job coach e una Life coach: il mio lavoro è aiutare le persone a essere soddisfatte e felici di quello che fanno e di quello che sono, aiutandole a trovare una nuova strada, sul lavoro e nella vita. Perché la strada giusta c’è, per ognuno di noi. A volte però abbiamo bisogno di qualcuno accanto che faccia il tifo per noi, ci aiuti nella ricerca, ci dica come fare per trovarla: quella sono io.
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