Se non sai cosa sia il burnout, meglio così. Ma se ti trovi in un momento di difficoltà lavorativa che non sai bene definire, se sei stanco, hai troppe cose da fare e il cervello fa fatica a fare il suo lavoro, o ancora hai alcuni disturbi fisici che non sai bene a cosa attribuire… forse è il caso di saperne di più (anche magari per scoprire che forse invece sei ‘solo’ stanco).

Siamo a settembre, si sa, il nuovo capodanno: è il momento in cui più o meno tutti riprendono dopo le vacanze, quello in cui si rimette mano ai progetti, si ricontattano i clienti, ripartono le attività, il lavoro insomma. Per tanti – me compresa – una fatica che gestisco facendo un poco alla volta per riprendere il ritmo ‘normale’ dopo un periodo più o meno lungo di sosta, di relax, di pensieri e movimenti più lenti.

Vacanza per me è rallentare. Staccare la spina. Fare le cose in modo diverso da come le faccio nei periodi di lavoro o farne altre, anche molto diverse. Non sempre – tuttavia – si riesce a farlo, non sempre cioè le persone riescono a staccare la spina, dimenticandosi di tutto ciò che è legato al lavoro. Un buon segnale per capire se davvero hai fatto ‘vacanza’ credo che sia dimenticare, mettere da parte momentaneamente tutto ciò che ha a che fare con il nostro lavoro (comprese password per il pc, progetti in corso, attività da fare ecc).
Ma se invece questo distacco non c’è, non c’è nemmeno svago, né riposo, né ricarica delle batterie per affrontare un’altra stagione.

Sia chiaro: non è detto che tutti coloro che non riescono a staccare sono in burnout, o sono stressati, a volte si è talmente presi da ciò che si sta facendo – perché ci piace un sacco! – che non si riesce a smettere e nemmeno a pensare ad altro. Ma se questa incapacità di staccare comincia ad essere ricorrente o addirittura permanente, e se anche quando desideri staccare e riposare, non ci riesci, mmmmh, ecco che forse qualche domanda bisogna cominciare a farsela.

Che cosa differenzia il burnout da una serie di brutte giornate?

Sappiamo tutti che le brutte giornate capitano, e di solito sono seguite da giornate più ‘buone’. Sappiamo anche che spesso si ha un effetto domino, per cui a una brutta giornata ne segue un’altra, che poi diventa una settimana, magari due, magari un mese… ma allora come si fa a capire se si è finiti nel baratro del burnout? Credo che la differenza stia nel fatto che le brutte giornate, o i brutti periodi, hanno sempre una scadenza davanti a sé, letteralmente: il momento di consegna di un certo progetto, prodotto, attività, che ci fa pensare che c’è una luce in fondo al tunnel. Ecco: quella luce in fondo al tunnel, se sei in burnout, non la vedi, e anzi sai che non esiste.
Ho letto da qualche parte che il bornout è una cattiva giornata… tutti i giorni. Direi che il concetto è molto chiaro: no way out. E di qui l’inevitabile ansia che coglie chi è in burnout.

Che cos’è la sindrome del burnout

Il burnout è – mia definizione – il lavoro malato. Il lavoro che diventa malattia. Una volta, ancora oggi in realtà, c’erano le malattie derivanti da lavori particolarmente pericolosi, o di cui si è scoperta la pericolosità solo in seguito. Oggi c’è la malattia, mentale prima ancora che fisica, del superlavoro.

Lo scorso maggio 2019 l’OMS ha ri-definito il burnout (traducibile con ‘crollo’ o ‘esaurimento’) da sindrome legata alle sole professioni di aiuto (medici, infermieri, insegnanti, ecc.) a fenomeno correlato al lavoro in generale, quindi a qualsiasi lavoro. E’ stato dunque riconosciuto a livello mondiale che chiunque svolge un lavoro può essere colpito da burnout: il lavoro (non tutto, per fortuna!) è diventato frenetico, impegnativo, assorbente e ‘demanding’, e il telefono cellulare ha ulteriormente peggiorato la situazione: si è reperibili sempre (a meno di spegnerlo), si possono vedere le mail sempre e ovunque (salvo ‘impedirsi’ di farlo), si può essere contattati in mille modi.

Secondo la più recente definizione dell’OMS il burnout è dunque
“una sindrome risultato di stress cronico sul lavoro che non è stato gestito con successo. È caratterizzata da 3 elementi: 

  • sensazione di essere esausto, con le batterie completamente scariche, senza energie né fisiche né mentali: di solito prodotta da eccessive richieste lavorative, o da cambiamenti improvvisi. Non si riesce a recuperare le energie né a rilassarsi, ci si sente continuamente ‘indietro’ rispetto al lavoro da fare
  • distanza mentale dal proprio lavoro, negatività e/o cinismo legato al proprio lavoro: tale è la stanchezza e la delusione che si fa di tutto per evitare di accumularne altra e così assume un atteggiamento freddo, distaccato con le persone con cui si lavora, arrivando persino a tradire i propri valori; e
  • ridotta efficacia professionale: qualsiasi nuovo progetto o nuovo incarico viene vissuto come opprimente, come un carico che non si può reggere. Pian piano si perde la fiducia nelle proprie capacità e i nuovi progetti spaventano: l’autostima è fortemente minata, e si dubita delle proprie capacità.

È chiaro dunque che si tratta di una situazione di profondo malessere interiore, che può essere (spesso lo è) accompagnata da disturbi fisici importanti che possono pian debilitare la persona: come spesso accade, è il corpo che ci dice ‘basta!’ quando la mente – o l’anima – sono in difficoltà. O forse siamo noi che ci fermiamo solo quando il corpo ci blocca, e solo allora ci ‘rendiamo conto’ che c’è qualcosa che non va anche altrove. La malattia del corpo è quindi segnale di un altro genere di malattia.

Come riconoscere il burnout: le fasi

È chiaro che il burnout non arriva come un fulmine a ciel sereno, improvvisamente da un giorno all’altro e senza segnali di ‘avvertimento’.
Secondo gli studiosi infatti si possono identificare 5 fasi progressive di ‘avvicinamento’ allo stadio finale e più pericoloso del burnout conclamato, e queste fasi sono:

  1. La fase della luna di miele (Honeymoon): iniziamo un nuovo lavoro o una nuova attività imprenditoriale e siamo entusiasti, pieni di adrenalina, ci tuffiamo a capofitto per imparare tutto nel più breve tempo possibile, stiamo in ufficio un numero esagerato di ore e/o ci portiamo a casa il lavoro. Il nostro entusiasmo ci trascina.
  2. Inizio di stress (Onset of stress): certi giorni va tutto benissimo, certi altri sono pessimi, niente ancora di preoccupante, si sa, succede.
  3. Stress cronico: la fase della luna di miele comincia a durare un po’ troppo, e quello che inizialmente era un grande entusiasmo per una nuova avventura comincia a sembrare la condizione normale. Le occasioni di socialità sono ridotte al lumicino (“devo lavorare!”), le relazioni anche, l’unica nostra passione è il lavoro. Nonostante tutto questo impegno, non sempre arrivano i risultati sperati o previsti. Ci diciamo però che va tutto bene, dai presto questa fase finirà, è normale che sia così all’inizio, ecc (ma quanto dura questo ‘inizio’???). Ogni tanto ci sfiora l’idea di scappare su un isola caraibica, mollare tutto e aprire un baretto sul mare (è il cd. escapismo).
  4. Burnout: è la fase in cui il desiderio di fuga da tutti gli impegni e da tutte le responsabilità, da tutti i problemi e da tutto questo lavoro, si fa più sempre più forte. Non si riesce più a dare un senso a ciò che si sta facendo, ci si sente soli, accerchiati da brutte persone che vogliono solo fregarci o farci del male o approfittarsi di noi. E soprattutto si comincia a dubitare delle proprie capacità: sono davvero in grado di fare questo lavoro, ricoprire questo ruolo, avviare una mia attività? Non mi sarò montato la testa? Non avrò sbagliato tutto? Nel contempo, si rifiuta uno dei bisogni più profondi dell’essere umano, ossia la relazione con l’altro, sia essa sentimentale o semplicemente amicale: non c’è tempo per queste cose!
  5. La fase del burnout abituale (o permanente, o conclamato), infine, è quella in cui i sintomi della fase precedente diventano ancora più acuti e caratterizzano in maniera quotidiana la vita (lavorativa e non) della persona. Sicuramente anche i sintomi fisici cominceranno a dare problemi importanti, l’insonnia continua, l’ansia, i pensieri catastrofici, l’incapacità di gustare un pasto o la compagnia di una persona portano il soggetto sempre più verso l’isolamento e il malessere.

Burnout: sintomi fisici

Come già ho detto, il burnout comporta delle conseguenze anche a livello fisico: mal di testa ricorrenti, mal di schiena, nausea, vertigini, inappetenza, dolori al petto e molto altro. Questo fa sì che molte persone confondano la causa con la conseguenza: sto male sul lavoro perché ho qualche acciacco e non riesco a riposare, a dormire bene, a mangiare bene, ecc. Invece è esattamente il contrario: sono questi malesseri dell’anima a provocare malesseri del corpo. Ma poiché siamo più propensi a riconoscere i malesseri quando riguardano il corpo, ecco che è bene tenere sotto controllo questi segnali.
Spesso i malesseri della nostra mente che trascuriamo incidono sul nostro corpo, che a sua volta ce lo fa capire costringendoci – con la malattia (anche solo una febbre) – a fermarci per un po’. Purtroppo talvolta i segnali del corpo sono molto più pesanti della semplice febbre, e molto più pericolosi.

Pensi di essere in burnout?

Se ti sei riconosciuto nella descrizione di una delle fasi del burnout, la prima cosa da fare è una seria riflessione sul momento lavorativo e personale che stai vivendo, magari anche con l’aiuto di un amico/a che ti vede da fuori e ti può dare una prospettiva diversa. E poi cercare di correggere alcuni tuoi atteggiamenti per evitare di peggiorare la situazione , ma anzi per rimetterti ‘in carreggiata’.

Se senti di essere nella fase più acuta, la prima cosa da fare è fermarsi, mettersi in malattia, prendersi del tempo. E poi chiedere aiuto. Ma poiché le conseguenze del burnout sono molto pericolose, la cosa più furba da fare sarebbe cercare di prevenirlo. Come, lo racconterò nei prossimi post sull’argomento.

 

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