Siamo abituate a pensare – o forse dovrei dire siamo condizionati a pensare – che il self care sia mettersi il rossetto, andare dal parrucchiere, fare di tutto per essere belle esteticamente. Certamente ci sta anche questa parte, ma prendersi cura di sé ha a che fare sia con il contenitore, sia con il contenuto. Ciò significa che va benissimo la cura estetica del corpo – magari senza le esagerazioni del marketing che ce la fa vivere come una cosa vitale e necessaria, obbligatoria anzi, per essere felici – ma ad essa deve per forza unirsi una cura molto attenta del contenuto, di ciò che è dentro di noi.
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Di fronte a degli ostacoli, spesso lasciamo la possibilità del successo agli altri, perché non ci riteniamo dei vincenti. Quando consideriamo l’ipotesi di acquisire responsabilità o prestigio, ci convinciamo subito di essere semplicemente degli “impostori”, come un attore che interpreta il ruolo di un pilota, mentre indossa l’uniforme e fa i suoi annunci dalla cabina, e non è in grado di avviare i motori.
Nell’Atlante delle emozioni umane, l’autrice Tiffany Watt Smith individua e descrive più di 150 emozioni umane. Se devo pensare alla mia capacità di dare un nome alle emozioni, e alle loro diverse sfumature, credo che arriverei con fatica a 20. La nostra scarsa, scarsissima preparazione nel campo delle emozioni la dice lunga sulla nostra capacità di interpretarle e gestirle in maniera proficua – e non distruttiva.
Il rischio è strettamente connesso al tema dei desideri, quelli che vanno fatti (ri)emergere nelle nostra vite, come ho scritto in Dove sono finiti i desideri?: nessun desiderio (o quasi) potrà essere mai raggiunto senza una più o meno grande componente di rischio: la strada verso una vita piena di gioia è costellata da paure, e prima ce lo mettiamo in testa meglio è.
Per inseguire i nostri desideri dobbiamo passare attraverso gli inevitabili terrori che saltano fuori da chissà dove (chissà dove?) per farti fare un passo indietro.
Quante volte ti sei astenuta dal dire o più spesso dal fare qualcosa, in attesa che fosse “tutto a posto”? Quante volte hai rimandato, pensando che “ancora non ci siamo, c’è qualcosa che ancora…”? E quante volte hai abbandonato strada facendo un progetto, un’attività perché non era – secondo i tuoi standard – perfetto? Se queste volte sono state tante, hai un problema con il perfezionismo, che non è aspirare al meglio ma avere paura di sbagliare. Sei una “Little Miss Perfect” ed è ora di cambiare!