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Non ne posso più

La mia avventura di introversa con il public speaking

Nel corso del 2023 ho avuto un sacco di occasioni in cui allenarmi in una pratica a cui non sono molto avvezza e di cui ho di solito un gran terrore: il public speaking.

Sono passata dalle aule di alcuni corsi di formazione, alle serate di presentazione di una causa a cui tengo molto, a festival ed eventi aperti al pubblico, a aule universitarie (!), e ogni volta è stato un po’ più facile, un po’ meno faticoso, addirittura anche un po’ più divertente (divertente!), anche se, potendo scegliere, farei certamente altro.

Sono mediamente contenta di come è andata, potevo fare meglio certamente, ma ogni volta ho aggiunto un pezzettino, fatto un passo avanti, e mi sento sempre più confidente e sicura. Mancano ancora 2-3 pezzettini – secondo me – perché io sia del tutto soddisfatta (soddisfatta, non perfetta, bada bene! Ché la perfezione è il male assoluto, ne ho parlato qui) ma ci continuo a lavorare su e pian piano ci arriverò.

Nel frattempo, mi alleno. E lo faccio tutte le volte che mi si presenta un’occasione, senza tirarmi indietro, e consapevole che è un esperimento dal quale posso soprattutto imparare qualcosa per migliorarmi.

Non l’ho sempre pensata così, che te lo dico a fare.
Da vera introversa ho sempre pensato che il public speaking non facesse per me (anche se ci sono introvers@ che sono ottimi oratori!) e che ci dovevo mettere una pietra sopra. Invece la vita ci si mette, spesso, di mezzo e ti propone delle opportunità, o delle sfide, che spingono proprio nella direzione che avresti voluto da tempo abbandonare.
E allora ti ritrovi a pensare che ti tocca, che evidentemente lì c’è un pezzettino di strada che devi ancora fare, e anche se non sai dove ti porterà, lo sforzo grande è rimanere fiduciosa che ci sia qualcosa ad attenderti, apposta per te.

Public speaking e connessioni

Così è stato per me con il public speaking: da esperienza terrorizzante a modalità con cui entrare in connessione con le persone, cosa che mi riesce molto bene nel 1:1, ma che pensavo di non essere capace di fare con più di 3 persone. E invece.
Invece ho scoperto che creare condivisione e connessione, con il public speaking, è molto fruttuoso, e anche molto gratificante per me.

Naturalmente di solito uso alcuni trucchi (si fa per dire!) che funzionano molto bene e che ho imparato da quando faccio la coach. E che ho negli anni affinato. Quali sono questi “trucchi”? In realtà non sono trucchi ma competenze, skills, e sono:

  1. fare domande: anziché prepararmi un lungo discorso e/o una lunghissima lezione frontale, mi preparo poche cose, alcuni temi che ritengo fondamentali da affrontare, ma li accenno per sommi capi e poi faccio un sacco di domande a chi mi ascolta – questo mi permette di capire meglio quali sono le aspettative, i punti di vista, gli approcci e di modulare la lezione o l’intervento in base ad essi;
  2. ascoltare: dopo aver fatto domande e aver cercato di coinvolgere un po’ tutti gli astanti, ascolto con molta attenzione quel che mi dicono. Pratico quello che in coaching viene definito “ascolto attivo”, che è un ascolto  molto difficile e faticoso, ma molto molto molto utile per avere ulteriori informazioni su chi ho di fronte.

Nelle occasioni in cui ho sperimentato – e poi fatto mio –  questo modo di pormi ho notato diverse cose interessanti:

  1. le persone sono più propense a dire davvero come la pensano
  2. le persone sono più disponibili a discutere in modo civile
  3. le persone sono più disponibili ad accettare una critica o un’osservazione e rifletterci sopra

Credo che la ragione sia principalmente dovuta al fatto che sentono di avere davanti un interlocutore che è disposto a mettersi in gioco, che non parte pensando di sapere tutto (o tutto quel che c’è da sapere su un certo argomento), che è aperto e pronto a mettersi in discussione perchè non ha paura di fare una figuraccia.

In un delle ultime occasioni in aula ho addirittura imparato io delle cose, e questa bella sensazione di scambio tra me e chi avevo di fronte mi ha davvero dato una grande soddisfazione, e ovviamente ha anche tranquillizzato la mia ansia da prestazione nelle occasioni di public speaking (poi un po’ di ansia resta sempre, ma non riesce più a paralizzarmi al punto di rinunciare).

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