Decidere di prendere una strada è già prendere quella strada. La decisione è il primo passo. Probabilmente il più difficile.

Spesso siamo indecisi, titubanti: servirà, non servirà? Farò bene? Otterrò quello che voglio? Questo coaching funzionerà?

Come accade in altri campi, per saperlo non si può che provare, esattamente come non si può sapere se quella torta di mele così invitante nella vetrina del pasticcere è buona o no: tocca che l’assaggi, per saperlo; l’assaggio e poi decido, giudico, mi dico contento o scontento.

Posso anche chiedere in giro, chiedere agli altri che l’hanno provata: tu cosa ne pensi? A te piace quella torta? Ma la verità è che siamo tutti diversi e ognuno ha il proprio palato e ragiona con la propria testa (e la propria pancia). Non c’è una verità assoluta, ma anzi c’è un aspetto soggettivo fortissimo.

La domanda che credo ci si debba porre è piuttosto: voglio davvero mettere mano a questo problema? Voglio davvero affrontarlo? Voglio davvero mettermelo alle spalle e passare oltre, e (provare a) essere felice?

Non tutti lo vogliamo, e non in tutti i momenti.

Alle volte preferiamo aspettare: che arrivi il momento giusto, di sentirci pronti, che altre cose siano a posto, di avere un momento libero, di avere la mente libera.

Ecco, se preferiamo aspettare può voler dire due cose:

  • che non siamo ancora pronti
  • che non vogliamo DAVVERO affrontare quel che ci affligge.

E io dico: va benissimo così, se va bene a te.

Ma se preferiamo aspettare, a volte è perché abbiamo paura di cosa potrebbe succedere se.

E – lo dico a ragion veduta – è la paura che abbiamo tutti.

La differenza la fa il momento in cui nella testa ti scatta un clic, e dici: vado. Voglio proprio andare oltre, risolvere questa cosa, non ne posso più.

Ecco.
E quel momento scatta in ognuno in un modo diverso, in un momento diverso.
E va bene così!

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