Cosa significa per me lavorare in proprio

Che cosa vogliono le donne dal lavoro

Il 90% delle persone con cui lavoro sono donne. Dipendenti o in proprio. Nel corso degli anni credo di aver lavorato con davvero un sacco di donne, e di averne conosciute per ragioni di lavoro o per altri mille motivi molte, moltissime. Uno degli argomenti principali di conversazione, davvero di qualunque conversazione, è il lavoro: l’ufficio, i colleghi e le colleghe, il capo, le fatiche, le relazioni, le fatiche di nuovo, le cose che si dovrebbero fare e le cose che realmente si fanno (di solito molte ma molte di più).

Ma cosa cercano, di cosa si lamentano le donne riguardo al lavoro? Potrei non finire in una vita, ma cerco di riassumere.

Flessibilità

Una chimera, molto spesso. Una cosa che sta solo sulla carta, o che è unidirezionale: puoi fermarti a lavorare fino a tardi e non essere pagata, e questa è la flessibilità che va bene. Oppure finire al tuo orario e poi continuare a lavorare rispondendo a mail e messaggi. Quella flessibilità lì va benissimo. Ma se sei tu a chiederla eh beh, allora no eh? cosa credi? se tutti facessero come te! e poi chi me lo dice che fuori di qui lavori davvero? Eh ma se lo concedo a te poi lo vogliono tutti!

Così sento storie di persone che hanno visto lo smartworking scomparire o essere drasticamente ridotto dopo il Covid, per essere costrette ad andare in ufficio deserto, perdendo tempo in spostamenti inutili casa-lavoro, perché così ha deciso l’azienda. Ma l’azienda è fatta di persone e queste decisioni le prendono le persone – sì, di solito uomini, lo sappiamo. Che queste decisioni siano sensate o meno è irrilevante, quali impatto abbiano sulla produttività non viene calcolato, quello che interessa è averti “sotto controllo”.

La mancanza di fiducia e l’incapacità di creare un senso di responsabilità: su questo si basano le decisioni nella maggior parte delle aziende.

Eppure la flessibilità farebbe come comodo a tutti, è una di quelle situazioni win win come si dice, dove tutti vincono. Ma siamo troppo arretrati per capirlo.

Meritocrazia

Un’altra chimera. Per raggiungere il livello e lo stipendio di un collega uomo, una donna deve fare il triplo, e molto spesso nemmeno quello basta. Di default, è meglio un uomo, per qualsiasi ruolo. Non è dappertutto così, eh? So di esempi virtuosi, ma finchè rimangono “esempi virtuosi” e non diventano la normalità, non bastano.

Sono stufa di vedere donne surclassate da uomini mediocri, sono stufa di sentire racconti di donne che fanno di fatto il lavoro manageriale ma sono inquadrate a livello 1, sono stufa di sentire storie in cui alle donne viene “rimproverato” tutto, e questo tutto non ha a che fare con il lavoro che svolgono ma a che fare con loro come persone: sorridi di più, vestiti meglio, ma come sei conciata, ma perchè oggi non sei truccata (e sto molto leggera).

C’è un problema, enorme. E gli uomini non lo vedono.

Qualcuno dice: sono le donne che devono ribellarsi, fare qualcosa, alzare la voce. Certo, è vero, ci vuole anche quello, ma ci vuole innanzitutto cultura, in generale e nello specifico cultura lavorativa. Manca, o a essere buoni scarseggia.

Cosa possono fare le donne?

Sì perché avendo avuto e avendo ogni giorno a che fare con molte donne posso dire con certezza che molto possiamo fare, e non facciamo.

Non diciamo di no, neanche sotto tortura, e questo alimenta una cultura lavorativa e aziendale tossica e mortifera per noi. Siamo sempre disponibili, perché per cultura ci è stato insegnato così, che essere sempre disponibili è ciò che siamo, Non è affatto vero, e non nemmeno vero che sei non sei disponibile allora sei egoista. Se non sei disponibile è perché hai altro da fare, perché hai delle priorità da rispettare e vuoi fare bene le cose. Le volte che le donne mi dicono che si ritrovano a fare il loro lavoro alle 18, dopo aver dato retta alle richieste di tutto l’ufficio, non le conto più: pare sia la normalità. Ma non è vero! Si può fare diversamente.

Non ci fidiamo di noi stesse e delle nostre capacità, e mettiamo nelle mani dell’altro la conferma che siamo brave a fare una certa cosa, qualsiasi cosa. Abbiamo introiettato e fatto nostra l’idea che senza un maschio a dirci “va bene” non ci sentiamo a posto, non siamo convinte di aver fatto bene il lavoro che ci è stato assegnato. E basta!

Non chiediamo, mai. Ci aspettiamo che il mondo si accorga di quanto siamo brave – cosa nella quale peraltro siamo le prime a non credere – e se non se ne accorge ci rimaniamo male e ci lamentiamo. Ma oltre a questo non andiamo. L’idea che possiamo chiedere il giusto per il lavoro che facciamo non ci appartiene: aspettiamo che arrivi qualcuno a darcelo, con benevolenza. E poi ringraziamo come se fosse un regalo. Non è un regalo! E’ il corrispettivo per il lavoro che facciamo!

Quindi:

  • impara a dire di no
  • fidati di te
  • chiedi

Ti assicuro che qualcosa cambia, e che è meno faticoso di quel che immagini!

 

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Vendere ciò che fai

Come vendere ciò che fai con più facilità

Come posso riuscire a vendere quello che faccio se non credo fortemente che valga qualcosa?
E che io, come persona, valga qualcosa? Se non ho fiducia che quello che propongo ha una qualche utilità, soddisfi un bisogno? Se vengo assalita tutte le volte da dubbi di ogni genere sulla bontà del mio prodotto, nonostante i feedback positivi?
Come possiamo avere un business, in definitiva, se non crediamo fortemente nelle nostre capacità?

Oggi è uscito il mio podcast: la mia esperienza da vera introversa

Quando ho cominciato a pensare che avrei tanto voluto fare un podcast, perché io stessa adoro i podcast, non pensavo proprio che ci avrei messo quasi 2 anni per renderlo reale, ma ora il mio podcast è qui!
Ho passato un sacco di ore a riflettere, pensare e ripensare, poi ho cominciato a leggere, a informarmi, e nel mentre ne ascoltavo di ogni genere perché accompagnavano – e accompagnano – le mie camminate, i momenti di relax, quando guido, quando faccio qualcosa di manuale, ogni occasione è buona per ascoltare qualche bella storia, ben raccontata.

Il mio podcast: perché?

Così, pian piano, ho fatto amicizia con l’idea che anch’io avrei voluto fare un podcast per parlare di quello che mi interessa e mi appassiona, che è il coaching, sicuramente, ma è anche il lavoro, in tutte le sue forme, e tutto quello che il lavoro si porta dietro. Ho cominciato a confidare questo mio pazzo progetto ad alcune persone, a discutere alcuni aspetti con altre, a registrare la mia voce sul telefono per vedere che effetto mi faceva, a pensare ai temi da trattare, a come registrare, a dove mettere questo podcast, eccetera eccetera. Insomma, come sempre, ho studiato e mi sono cimentata nelle varie fasi di creazione del contenuto e poi della registrazione della mia voce, e poi del montaggio. Devo dire che pensavo avrei fatto molto più alla svelta, e invece ci ho messo quasi un anno, forse qualcosina in più, per arrivare qui, alla data di uscita del mio podcast Ipotesi di lavoro.

Di cosa parlo? Come dicevo, di lavoro, in tutte le sue forme, quello dipendente e quello autonomo, il primo di cui ho esperienza indiretta attraverso le storie delle persone con cui abitualmente lavoro, il secondo che riguarda in primo luogo me, e le donne con cui condivido questa esperienza: nel mio gruppo di Mentoring  come colleghe coach o come amiche che lavorano in proprio. Forse l’idea del podcast è arrivata proprio dalla mia esperienza (di freelance) e dalla volontà di condividerla con altre persone che possono comprendere bene le fatiche di chi fa un lavoro che ama (e no, lavora; non è vero che chi fa un lavoro che ama non lavora neanche un giorno della sua vita…)

Poi ho pensato che questo benedetto lavoro, croce e delizia delle nostre giornate, ha bisogno di una seria revisione: incontro persone sempre più spossate, frustrate, incattivite, insoddisfatte dal lavoro che mi chiedo cosa si possa fare a riguardo, cosa posso fare io, per contribuire al miglioramento di questa situazione. Il podcast è una di queste cose.

Podcast e introversione

Cosa mi ha spinto a fare un podcast? Intanto il fatto che nessuno mi vede 🙂

La visibilità è un grosso tema per me, e per molte persone introverse. Il podcast mi permette di fare alcune cose (parlare di quello che so) in un modo che mi non mette troppo a disagio. Sono io e il mio pc e il microfono, e questo mi piace. All’inizio veramente ho cominciato con “eh, ma la mia voce non mi piace…”, “eh, ma cosa avrò mai da dire…?”, e via così, perché la sindrome dell’impostore è sempre con me benché cerchi di sotterrarla e zittirla, rispunta sempre!!!

Però, onestamente, “perché no?” mi sono detta. E con questo “perché no?” in testa sono andata avanti, cominciando con il fare pace con la mia voce, e bon, è quella, piaccia o no a me o agli altri posso fare poco (anche se prossimamente prenderò lezioni di dizione!), e ho cominciato a registrarmi con il cellulare e riascoltarmi, così, per allenarmi ad ascoltare quella voce che mi sembrava così… strana (e sgradevole).

Primo passo: fatto.

Poi ho pensato ai temi di cui volevo parlare, ovviamente il lavoro, ma con quale sfaccettatura? Non volevo replicare cose che avevo scritto – anche se un po’ inevitabilmente sarà così – e invece “ridistribuire” e rendere fruibili a tutte le persone le conversazioni che ho quotidianamente con la mia clientela, da cui ho imparato e imparo veramente un sacco e che mi portano le esperienze più variegate.

Poi volevo parlare sia a chi fa un lavoro dipendente – la maggior parte delle persone che chiede il mio supporto – e anche a chi lavora in proprio, questo gruppo sempre un po’ bistrattato di persone che con tutte le forze si ostina di immaginare per se stess@ un lavoro diverso e più soddisfacente. Quindi ci saranno stagioni diverse, in cui parlerò degli uni e degli altri, ma in fondo alcuni temi in realtà sono trasversali e hanno a che fare più in generale con il senso del lavoro e quale rilevanza dargli nelle nostre vite.

 

TI ricordo che trovi il mio podcast Ipotesi di lavoro su Spotify e a breve su ApplePodcast.

 

Vendere senza paura

Vendere senza paura: superare remore e resistenze per vendere quel che fai

Cosa si frappone tra te e la vendita di quello che fai? Come si fa a vendere senza paura?
Certamente qualcosa lì in mezzo c’è, che ti trattiene, a cui fai resistenza, e che ti impedisce di trasformare quello che fai da hobby o passione a business vero e proprio. E io ho un’idea di cosa potrebbe trattarsi.

Il tema delle vendite che per chi lavora in proprio è un “temone”, un tema grande come una casa, che si intreccia a doppio filo con il tema autostima ma che si nutre di tantissimi altri che hanno una portata che va al di là della nostra singola persona e che riguarda anche il tempo in cui viviamo, la cultura in senso lato nella quale siamo immerse, la storia – delle donne e della loro presenza nel mondo del lavoro – e molti altri ancora, alcuni dei quali probabilmente sfuggono anche a me.

Tuttavia, vendere è necessario se vuoi vivere di quello che fai, e smetterla di fare la hobbista.

Intrecci

Ma facciamo un passo alla volta e cominciamo dall’intreccio per me fondamentale, oltre che quello su cui abbiamo qualche possibilità di cambiare le cose.
Il tema della vendita quando hai un business è che devi per forza abituarti a farlo, e invece molto spesso questo aspetto viene sottovalutato e/o rimandato (eccomi qua) nella speranza che la bontà di quello che facciamo, la soddisfazione delle persone con cui lavoriamo, sia una bacchetta magica che ci farà vendere quello che facciamo, prodotti o servizi, un giorno dopo l’altro.
Certamente questi aspetti (soddisfazione propria e della clientela, bontà di ciò che offri, e anche che ciò che vendi sia appetibile) sono fondamentali e utili per continuare a vendere, ma appunto rischiano di essere degli enormi oggetti di distrazione. Intendo dire che ovviamente ciò che scegli di fare come lavoro in proprio ti deve dare soddisfazione e altrettanto ovviamente ci dev’essere qualcun@ interessato ad acquistarlo, ma fermarsi qui non basta, e anzi a me sembra che ci concentriamo (a volte) su questi aspetti che considero ovvi, per evitare di affrontare il problema principale: perché mi faccio così tanti problemi quando si tratta di vendere quello che faccio? Perché facciamo fatica a dire che questo o quel servizio lo vendiamo e costa tot? Perché se dobbiamo raccontare al mondo cosa facciamo ce ne vergogniamo? Perché facciamo fatica a dire quanto costa il nostro prodotto o servizio? Perché abbiamo paura di mettere i prezzi di quel che vendiamo nella nostra vetrina o nel nostro sito web?

Potrei continuare a lungo con queste domande, che hanno girato a lungo anche nella mia testa, e che vedo assillare tutte, ma proprio tutte, le professioniste con cui lavoro: parlare di soldi, di soldi che vogliamo guadagnare, di quale prezzo vogliamo mettere a quel nostro prodotto o servizio, è una conversazione che ci mette sempre in difficoltà e che – in generale – non ci piace fare.
Male. Molto male.

Allora cominciamo a raccontarci che se mettiamo un prezzo a quel che facciamo, o se lo mettiamo “alto” (un termine tutt’altro che misurabile, cosa vuol dire “prezzo alto”???) nessuno vorrà comprare quello che offriamo – perché “costa troppo”, è “esagerato per quello che faccio io”, c’è sicuramente chi “lo vende a meno” per passare a teorie che lasciano il tempo che trovano come “nessuno capisce davvero il valore di quel che faccio”, e anche “nel mio settore c’è troppa competizione”, insomma cerchiamo qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa, così ci sentiamo sollevate e non dobbiamo chiederci e riflettere su quella che è la questione fondamentale.
E la questione fondamentale che cerchiamo con ogni scusa possibile di evitare di affrontare ha un solo nome: paura.

Perché sì, la verità è che abbiamo più o meno tutte una paura fottuta di vendere, o meglio di ricevere un rifiuto da parte del mondo là fuori e piuttosto che correre questo rischio preferiamo chiedere cifre irrisorie che non coprono neanche i costi di quel che produciamo (si tratti di oggetti o servizi), o non chiedere assolutamente nulla per ciò che facciamo (qui è autosabotaggio, sia chiaro), quasi fosse immorale, o peggio: illecito, criminale, da persone ingrate o avide – a seconda dei casi.
Ma perchè mai?
Piccolo spoiler prima di continuare: non hai niente che non va!

Emozioni e vendite

Ed eccoci quindi all’intreccio (malsano, evidentemente) di cui parlavo sopra: quello tra soldi ed emozioni.
Perché attorno ai soldi, e al vendere, abbiamo tutte un sacco di emozioni, per lo più negative; tra le tante: paura, vergogna, senso di colpa… (te ne vengono in mente altre?)

Pensiamo che fare un sacco di soldi ci renderà delle persone orribili, tirchie, o snob o inavvicinabili; oppure pensiamo che cominceranno a piovere i giudizi negativi di parenti e amici, oppure ancora che se dovessimo guadagnare di più di chi ci ha formato sarebbe un problema; oppure ancora pensiamo che per guadagnare tanto dovremo lavorare tanto, che possiamo essere/avere una sola cosa tra due (o guadagni tanti soldi o hai una bella famiglia o una buona relazione, che se sei brava nel business non sarai un bravo genitore) e così via.
Ma la verità è che tutte queste convinzioni e giudizi si basano sulla nostra mentalità, non su fatti reali. Non sono un dato di realtà ma un nostro convincimento, o appunto, una nostra emozione, legato a tanti fattori diversi ed esterni a noi, che tuttavia ci condizionano.
Il problema è che tutte queste convinzioni ci zavorrano, così come tutte le emozioni negative, e ci impediscono di vendere nella maniera più serena possibile, e con risultati positivi.
Quindi ripeto: non è colpa tua! Ci sono condizionamenti che ci condizionano, appunto, ma che sono molto più grandi di noi e secolari, possiamo fare poco. Ma qualcosa possiamo fare: bisogna rendersi consapevoli del problema e affrontarlo, se hai un business e vuoi vivere di quello.

Come lavorare sulle paure riguardo alla vendita?

Mi sono interrogata tanto su questo, e continuo a farlo, perché tuttora ho delle resistenze a vendere e a farlo con intenzione e continuativamente. Ma è un allenamento anche questo, e come ogni allenamento, è la ripetizione a sviluppare i muscoli, renderlo efficace e a far ottenere risultati.
Ma come si fa questo allenamento? Io lo faccio con il journaling.
A questo punto spesso chi mi legge storce il naso, ma come? Tutto qui? Tutto qui! Ma ti avviso, è più facile a dirsi che a farsi… perciò prendi un bel quaderno, intitolalo Journaling per vendere (titolo inventato da me, ma metti pure il titolo che vuoi!) e comincia.
Ogni giorno, qualche paginetta, con le tue riflessioni sul tema: ma ogni giorno! (la costanza, si sa, è la regina dell’allenamento).
Se poi vuoi farmi sapere com’è andata, scrivimi qui, sarò felice di leggere com’è andata e di darti altri spunti.

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5 idee per migliorare la tua situazione lavorativa

5 idee per migliorare la tua situazione lavorativa

Molto spesso partiamo dal presupposto che la nostra condizione di insoddisfazione/infelicità sia legata al lavoro. Come se il lavoro dovesse essere la nostra fonte di felicità e/o soddisfazione. Ma se ci pensi un momento ti renderai conto che nel corso dei secoli passati questa idea non ci sia mai stata, e il lavoro fosse considerato una necessità – per la sopravvivenza – e una fatica da tollerare nel corso degli ultimi due secoli. Che il lavoro potesse assicurarci la felicità è qualcosa che è arrivato solo in tempi moderni e modernissimi, come favola per… farci lavorare. Perchè sappiamo tutte e tutti che, ancora oggi, il lavoro è fatica – anche se fai il lavoro che ami! – ed è anche parecchio necessario per la nostra sopravvivenza.

Tuttavia, le persone che incontro arrivano da me tutte con una questione lavorativa da sottopormi, di cui credono di essere le uniche persone a soffrire o sperimentare, e con un investimento enorme di aspettative sul lavoro: come mai, mi chiedo?

Credo che sia perché tendiamo a identificarci totalmente con il lavoro che facciamo. Sostituiamo il “faccio” con il “sono”… Sono una coach, una project manager, una cassiera, un fabbro, e via così. La realtà è che facciamo un lavoro, ma non siamo quel lavoro, anche se quel lavoro ci piace alla follia. Ma questa identificazione, che nasce dalle parole e arriva al pensiero, è davvero molto pericolosa.

Ma siamo davvero (solo) il nostro lavoro?

E lo siamo? No, non lo siamo. Lo facciamo, facciamo un lavoro. E soprattutto siamo anche qualcos’altro. E di questo “altro” ci dobbiamo occupare, se vogliamo che il lavoro non diventi quella cosa pericolosa che è diventata negli ultimi tempi.

La felicità e la soddisfazione vanno ricercate e perseguite in tutti gli ambiti della nostra vita e quindi anche sul lavoro: ma pensare che il lavoro possa darci la felicità è una convinzione fallace e addirittura pericolosa per la nostra salute, fisica e mentale.

Partendo da questo assunto, che deve essere molto chiaro e va assorbito e fissato come un post-it nelle nostre menti, vediamo cosa possiamo fare per migliorare la nostra situazione lavorativa.

SPOILER: la prima cosa da fare non è prendere in mano il cv per aggiornarlo, sistemarlo, modificarlo e mandarlo urbi et orbi.

Mandare cv in giro è l’ultimo passo, prima ce ne sono altri.

Partire dalla risistemazione del cv non è buona idea. Lasciamolo da parte per il momento. E fidati che ci arriviamo, ma ti sarà ben presto chiaro perché è l’ultima cosa da fare.

Il primo motivo è che mandare cv a pioggia non serve assolutamente a niente. E’ una mossa un po’ dettata dall’ansia, un po’ dal desiderio di fuggire da una situazione che ci va stretta, un po’… cercare una via d’uscita breve e facile. Non va bene, e soprattutto non funziona.

Nessuna delle persone con cui ho lavorato hanno cambiato la loro situazione lavorativa mandando cv a pioggia.

Cosa fare dunque per migliorare la nostra situazione lavorativa?

1.) Chiediamoci cosa vogliamo nella nostra vita

Il grosso problema è che pensiamo che questi 2 aspetti siano del tutto slegati e invece sono intrecciati a doppio filo.

Partendo dal presupposto che il lavoro che deve girare attorno alla vita e non viceversa, credo che questa riflessione sia davvero molto importante.

Il lavoro è quella cosa – una di quelle cose – che dovrebbe esserci utile per fare la vita che vogliamo, che dovrebbe permetterci, fornirci gli strumenti per fare la vita che vogliamo.

Quindi ora proviamo a mettere nero su bianco cosa vogliamo in questo momento dalla nostra vita. Prendi carta e penna e fai una lista.

Soldi? Tempo? Casa? Status?  barca? vacanze a go-go?

2.) Che cosa vuoi dal lavoro, in questo momento? Cosa cerchi?

Più soldi, più flessibilità, più benefit, più relazioni con le persone, meno relazioni, meno trasferte, cosa?

3.) Impara a raccontare come fai il lavoro che fai

Fatte queste riflessioni, che sono molto importanti, e chiarito prima di tutto a noi stess* cosa vogliamo da questi due ambiti, la cosa che dobbiamo fare è imparare a raccontare bene il lavoro che facciamo, che sappiamo fare.

Questa, dopo le riflessioni, è la fatica più grande.

La prima risposta che ci viene è infatti: sono un project manager! Sono una coach! Sono una …(aggiungi quel che vuoi), cioè rispondere citando il nostro job title.

Mi devi innanzitutto spiegare con parole facili in cosa consiste il tuo lavoro – non tutti sono del tuo settore e capiscono il linguaggio tecnico – e questo è il primo passo: semplificare e saper spiegare a chiunque il tuo lavoro, perché è quello che dovrai probabilmente fare se ti metti in cerca di un altro posto di lavoro. A maggior ragione se vuoi spostarti da un’industria all’altra, modificare un po’ il corso della tua carriera – molte delle persone che si rivolgono a me vogliono fare questo passo, in avanti ma anche laterale. Capirete bene che saper raccontare BENE il proprio lavoro, le cose che si sanno fare, è cruciale, visto che magari potrebbero mancare altri requisiti (che possono essere acquisiti in seguito, sul campo o con dei corsi).

A cosa serve questo esercizio? A diverse cose, tra cui:

  • imparare a parlare di quello che facciamo in parole semplici che siano comprensibili anche da chi non è del settore. E a cosa mi serve? (vi chiederete): a sfruttare ogni occasione per parlare del vostro lavoro anche a chi non ne sa nulla, ma che potrebbe fornirvi dei contatti interessanti.
  • E poi anche: a raccontare e raccontarsi in modo efficace e non noioso, che non guarsta mai – anche in vista dei colloqui.

4.) Impara a scegliere e a dire di no

Lo sai che tutte le volte che dici sì alla richiesta di chichessia stai dicendo no a te stess@?

Lo sai che tutte le volte che non dici la tua, o non fai tu la scelta, stai mettendo questo potere nelle mani di qualcun altro, che potrebbe non avere le tue stesse esigenze e desideri e quindi decidere nel modo migliore per te?

Cosa ti spinge a non scegliere? A non dire un no quando è l’unica cosa che vorresti fare?

Qualcuna che si trova in questa situazione vuole provare a rispondere?

Perché dire di no è così difficile soprattutto per le donne?

E perché questa capacità (di scegliere, e di dire di no) è così importante in questo discorso sul lavoro?

5.) Pensa a cosa ti manca (competenze, skills, qualità, … ) e a cosa puoi fare per averlo (nella vita e sul lavoro), e poi attivati per raggiungerlo/ottenerlo.

Ci sono cose che sono nel nostro controllo, e per le quali dunque possiamo fare qualcosa, altre che sono fuori dal nostro controllo. Sai distinguerle? E’ molto importante per non cadere in frustrazione.

Tra le cose che sono fuori dal nostro controllo ci sono sicuramente le condizioni del mercato del lavoro, la situazione geopolitica ecc ecc: lì abbiamo pochissima voce in capitolo quindi meglio metterci il cuore in pace.

Però ci sono cose, aspetti, che sono assolutamente nel nostro controllo e su cui possiamo incidere.

Ti mancano delle competenze? Studia

Ti manca la fiducia in te stessa? Cerca di capire cosa puoi fare a riguardo

Ti manca la conoscenza di una lingua (o più di una)? Cerca un corso o un insegnante

….

FAI una lista e chiediti se si tratta di cose sotto il tuo controllo o fuori dal tuo controllo. Poi decidi cosa puoi fare, e anche cosa vuoi fare e/o cosa è ragionevole fare in questo momento della tua vita.

Fatti tutti questi passi, analizza il risultato con molta calma e con molto sano realismo (ricordati del resto della tua vita! Se hai un neonato, difficilmente potrai riempire le giornate di ennemila impegni. Se lavori 12 h al giorno, forse il tempo che ti resta non è molto, cosa puoi fare? Lavorare meno e dedicarti ad altro. E così via…

Dopo tutto questo lavoro… Sei pront@  a mettere mano al tuo cv, sistemando, aggiornando e soprattutto accorciandolo! 1 pagina max 2!!!

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