E’ un tempo, quello in cui viviamo, in cui il lavoro non potrebbe avere maggior discredito: sebbene infatti sia necessario per molti, è diventato un campo minato, un luogo dove esercitare (male) il potere, dove le persone stanno male, dove non conta tanto quello che fai ma molto più quello che mostri di aver fatto (che sia vero o no), dove le persone sfogano le loro frustrazioni extralavorative senza che nessuno dica nulla a riguardo e dove gli ambienti diventano tossici, molto spesso a partire dal vertice.

Il capitalismo ci vuole individui, soli, isolati. La reazione che dobbiamo mettere in atto è allearci, condividere, coalizzarci, unirci. Ma ne siamo ancora capaci? Alle volte ne dubito parecchio: l’individualismo e il mito dell’eroe o dell’eroina solitaria ci è entrato sottopelle ed è difficile liberarcene, ma vedo anche dei segnali di cambiamento.

Abbiamo cominciato a pensare al progetto Colori d’estate durante una call del Gruppo di Mentoring 24/25, che tengo annualmente con donne che lavorano in proprio. La call era un po’ sottotono, pareva ci fossero solo cose brutte da raccontarci (“questa cosa non ha funzionato, questo mese ho venduto poco, odio i social e non voglio più usarli, nessuno mette like ai miei post”, cose così). Nel corso delle nostre call di Mentoring ci interroghiamo e confrontiamo spesso su cosa funziona e cosa no, e su come far funzionare ancora di più quel che funziona, ma in quella call eravamo tutte un po’… sconsolate.

Donne stufe, stanche di dover rincorrere un’ideale che si allontana sempre più dalla loro realtà, stanche di non sentirsi mai all’altezza di niente, di nessuna situazione. Stanche di non riuscire a fare tutto. Stanche anche di essere sempre insofferenti, insoddisfatte, e desiderose invece di raggiungere degli obiettivi, personali e/o professionali. Cosa manca a queste donne? Apparentemente nulla: sono consapevoli del loro stato e sono determinate a raggiungere i loro obiettivi. Però qualcosa tra la prima e la seconda manca, e spesso questa “cosa” che manca è l’autostima.

Siamo a dicembre e tutti intorno a me corrono, mentre io vorrei solo fermarmi e riposare. Rallentare per chi vive in una città (come Milano) è quasi una bestemmia, ma come, ma sai cosa ti perdi? Sì, e me lo voglio proprio perdere…
Come ogni volta che mi trovo in una situazione scomoda, osservo cosa fanno gli altri e vado in senso opposto. Sono sempre stata una bastian contrario quindi mi viene naturale, ma mai come negli ultimi anni ho capito che questa cosa alla fine mi torna utile. Anziché fare come la maggior parte delle persone ossia accelerare e aumentare i ritmi, io rallento.