Il capitalismo ci vuole individui, soli, isolati. La reazione che dobbiamo mettere in atto è allearci, condividere, coalizzarci, unirci. Ma ne siamo ancora capaci? Alle volte ne dubito parecchio: l’individualismo e il mito dell’eroe o dell’eroina solitaria ci è entrato sottopelle ed è difficile liberarcene, ma vedo anche dei segnali di cambiamento.

Quello che vedo e sento dalle persone con cui lavoro, che per fortuna è una visione parziale e “sbieca” del lavoro dipendente – dato che chi si rivolge a me ha voglia solo di scappare da ambienti tossici, frenetici, irrispettosi – mi fa tanto pensare che non siamo messi benissimo.
Da qui spesso si fa presto a pensare che sia dappertutto così in Italia, nel mondo, che il panorama sia desolante e che non ci sia speranza di trovare un altro lavoro, e un luogo di lavoro, decente.

Non è così (per fortuna!) – perché poi le persone con cui lavoro approdano a lavori migliori, dove si sentono soddisfatte e riescono a dare al lavoro quel significato che avevano perso per strada. Allora mi dico che c’è ancora speranza – perché sì, c’è sempre speranza – ma la narrazione in cui siamo immersi sempre più è questa qui: stai dove sei, non ti lamentare, accontentati. Pazienza se stai male, pazienza se ti ammali: sopporta. Là fuori è una giungla, ed è meglio che non ti ci avventuri.

Ma non è così!

E’ vero, probabilmente male tempora currunt ed è difficile mantenere la rotta ma sono assolutamente d’accordo con quello che scrive la mia coach, ossia che “è importante comprendere che l’incertezza non è un nemico da combattere, ma una costante della vita da accogliere”. Una costante della vita.

I momenti difficili e faticosi ci sono per tutti, alle volte però ci fermiamo alla superficie di ciò che gli altri raccontano di loro stessi e delle loro vite, e pensiamo che sia tutto lì, in quello strato dorato. Ma sotto lo strato dorato c’è spesso, c’è sempre, molto molto altro.

Tossicità al lavoro

Sono sempre più convinta che, al netto di alcune persone che sono davvero tossiche e rendono tossico l’ambiente di lavoro, c’è tanto che ognuno di noi può fare per arginarli, per impedire che accadano alcune cose spiacevoli, per farsi rispettare. E alle volte scopriamo che basta una piccola modifica al nostro atteggiamento perché anche chi ci circonda inevitabilmente cambi, come in un ingranaggio.

Ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa, per se stess* (e per gli altri, se lo desidera) ma che vada al di là di se stess* e del proprio orticello: siamo una collettività, ma ce lo stiamo dimenticando, ce lo siamo dimenticati. Unirsi ad altre persone che hanno a cuore gli stessi valori e le stesse battaglie può essere una strada; fare fronte comune, scambiarsi esperienze, fare tesoro di quel che ha funzionato in alcune esperienze per replicarlo altrove, è un’altra strada possibile. In una parola: condividere, fare comunità. Sono figlia di un sindacalista e anche se il sindacato oggi ha un potere imparagonabile al passato, ancora oggi l’unione fa la forza.

Ma siamo capaci di unirci per portare avanti un disegno, un progetto, un sogno? Sentiamo questo afflato collettivo o guardiamo solo al nostro giardinetto, e pazienza se attorno tutto brucia come in California?

Come va il tuo lavoro?

Ahia. Qui le persone tirano giù le cateratte dal cielo, passando dal “voglio andarmene il prima possibile”, al “li odio tutti”, e anche “metterei una bomba (a ufficio vuoto!)”. La disperazione è spesso palpabile, così come un senso di hopelessness, assenza di speranza: non ne uscirò mai da questa situazione, non cambierà mai niente. Certamente non possiamo pensare di cambiare l’organizzazione in cui lavoriamo, né tantomeno le persone che abbiamo attorno, ma possiamo certamente cambiare noi, come persone, e anche cambiare il lavoro o il posto di lavoro. Troppo poco? No, realistico.

Siccome le persone con cui lavoro me ne dicono davvero di ogni riguardo al loro lavoro, a come si sentono, a come stanno, eccetera, ho preso ispirazione dai loro racconti – e delle parole che usano – per offrirti alcuni spunti di riflessione. Non ne posso più!” è il nome che ho dato a questi consigli, ti ci ritrovi?

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