Desiderare è un’attività molto difficile e alla quale non siamo – spesso – molto allenati.

La parola desiderio deriva dal latino desiderium, composto di de e sidera: la mancanze delle stelle. Mi piace questa origine, tra le diverse proposte, perché ha molto a che vedere con chi i desideri smette, quasi senza accorgersene, di inseguirli, perseguirli, pensarli e immaginarli. Cosa siamo, senza desideri?

Siamo abituati a compilare lunghissime to-do list che non vedono mai la fine, e che anzi si allungano ogni giorno di più, ma quando ci chiediamo che cosa vogliamo facciamo fatica a rispondere. E’ un esercizio che propongo spesso ai miei coachee e di fronte al quale rimangono tutti sorpresi: desiderare? Cosa desidero? Cosa voglio per me? Ma davvero devo rispondere a questa domanda? Sì.

Abituati come siamo al dovere – sappiamo tutti a memoria il detto “prima il dovere dopo il piacere” – ci siamo dimenticati la seconda parte di questa frase per il semplice motivo che nelle nostre vite il posto per il piacere è, letteralmente, scomparso. Fagocitato dal resto: non c’è tempo, non c’è spazio, e se per caso ci sono, non ci sono le energie per dedicare al piacere una piccola porzione della nostra vita.
Eppure il piacere è il motore delle nostre vite, la benzina, quello che ci fa andare avanti, che ci rende creativi, ciò che rende le nostre vite degne di essere vissute. Ma forse ce ne siamo dimenticati, presi dall’ansia di completare le nostre to-do list.

Davvero è tutto qui?

La pandemia ha scatenato il bubbone, ha fatto saltare alcuni meccanismi interni su cui abbiamo basato le nostre esistenze fin qui, e credo che la domanda che racchiude questo ‘scoppio’ sia: ne vale davvero la pena? Davvero è tutto qui?
Le persone con cui sto lavorando, da qualche mese a questa parte, se lo stanno chiedendo: ma davvero la mia vita è tutta qui? Io voglio solo essere felice! Come si fa?
Purtroppo non c’è una risposta che va bene per tutti, né una risposta che va bene per tutti. Ognuno deve trovare la sua. Meglio: ognuno deve prendersi la responsabilità di trovare la sua. E prendersi questa responsabilità è difficile e faticoso, ma è anche importante e foriero di belle cose.

Come si fa? Si comincia facendosi delle domande, dai tempi dei tempi il modo ideale per progredire come esseri umani.

Cosa voglio davvero? Cosa è importante per me? Cosa mi rende felice? Cosa desidero per me? Ognuno scava, ognuno trova qualcosa di diverso, ma vivaddio è così che si va avanti, se fossimo tutti uguali non ci sarebbe nessuna evoluzione, nessun miglioramento né a livello collettivo né personale. Eppure questa unicità fa paura, benché sia fonte di ammirazione sui social: se sono unico, sono diverso e questo essere diverso mi fa sentire fuori posto, fuori dal gruppo. Ma questo non è vero! Possiamo essere unici, autentici e nel contempo essere parte di un gruppo (di qualsiasi gruppo si tratti, famiglia, amici, colleghi, parenti…), ma se ci appiattiamo sui desideri degli altri… diventiamo un po’ piatti anche noi. Non è forse un po’ morire, così? Essere anestetizzati, piatti, senza picchi di emozione né verso l’alto né verso il basso. Apatici. Tutto ci scivola addosso come fossimo una superficie liscia e scivolosa. E’ davvero questo che vogliamo? Brrrrrr

Ripartiamo dai desideri

Negli ultimi mesi ho parlato tanto di desideri con i miei clienti. E abbiamo fatto insieme riflessioni ed esercizi per cercare di tornare alle basi, per scavare sotto la coltre di stanchezza, condizionamenti, convinzioni talvolta errate, alla ricerca dei propri desideri.

Perché se le cose non vanno come vorremmo (il lavoro, la nostra relazione, le nostre relazioni, ecc ecc) forse è dovuto al fatto che ci siamo fatti trascinare dagli eventi, dai desideri altrui (della famiglia, per esempio), dalle decisioni altrui. Forse è perché ci sembrava più facile così, massì, perchè mettersi a far fatica per cercare di capire e scoprire i nostri, di desideri? Meglio lasciar perdere, tanto sono irrealizzabili.
Poi arriva un giorno in cui ci rendiamo conto di non aver vissuto la nostra vita ma quella di qualcun’ altro, o quella che qualcun’altro aveva deciso per noi, o che una serie concatenata di eventi ha deciso per noi. Ma noi c’eravamo! Eravamo lì quando c’era da decidere se andare di qua o di là. E ci siamo dimenticati che anche non decidere, non scegliere… è in fin dei conti una scelta.

Ma il passato è passato… non si può cambiare. E’ andata così. Ma il presente è qui! E si può cambiare e così cambiare il futuro!

Allora ripartiamo dai desideri. Uno dei primi esercizi di coaching che feci quando mi avvicinai a questa disciplina fu l’esercizio dei 30 desideri: prendi carta e penna, mettiti comod3, prenditi un po’ di tempo (almeno mezz’ora) e scrivi 30 “cose” che desideri: piccole, grandi, concrete, astratte, oggetti, esperienze, tutto. Almeno 30 desideri che vorresti realizzare da qui a 6 mesi (metti la data e la scadenza dei sei mesi).
Le obiezioni che ricevo di fronte a questo esercizio sono di ogni genere. Altrettante le domande di chiarimenti, di spiegazioni, di esemplificazioni. Le rigetto tutte, e dico solo: siediti e scrivi 30 desideri.

Cosa succede? Fai l’esercizio e lo vedrai!

Potrebbe non succedere niente? Non credo proprio. Nel peggiore dei casi avrai “solo” una lista dei tuoi desideri: l’hai mai fatta prima?

Una volta conclusa la lista (potrebbero volerci un po’ di giorni, datti tempo) puoi leggere il mio prossimo post sul tema.

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