Quante volte proviamo l’impulso di fare qualcosa di nuovo, di diverso, in una parola di creativo, e non lo facciamo?
Cosa ci trattiene? Cosa ci frena dal rilasciare là fuori, nel mondo, le nostre idee, i nostri progetti, le nostre idee più folli?
E’ il ricercare continuamente la ricompensa, la gratificazione, il riconoscimento, possibilmente immediato, quando facciamo delle cose, e in particolare quando lavoriamo.
Secondo l’autore de Il piccolo libro dell’ikigai, Ken Mogi, neuroscienziato, ‘dimenticarsi di sé’ è una della chiavi per essere felici, ossia dimenticare, cancellare il pensiero che stiamo facendo qualcosa che deve andare nel mondo e quindi essere sottoposto al giudizio altrui. E restare invece concentrati sul momento, su quel che stiamo facendo, sulle mia dita che scorrono sulla tastiera e che scrivono queste parole con le quali sto cercando di spostare dalla mia mente a questo blog quello che ho capito, o che comunque mi sono portata a casa, leggendo questo libretto.
Tra i vari concetti che mi hanno colpito c’è sicuramente questo del ‘dimenticarsi di sé’ e rimanere dentro nel qui ed ora, a godersi questo momento appunto, in cui riesco trasformare il mio pensiero in parole per voi: devo dire che in effetti è molto interessante e anche molto piacevole. E anche molto difficile, almeno per me!
Un altro concetto interessante è quello dei passi piccoli, uno dietro l’altro, con costanza, ma piccoli, e, analogamente, pensare in piccolo (diversamente da quel che ci viene insegnato e predicato di solito!), ossia dedicare un’attenzione e una cura pressoché infiniti verso ciò che si sta facendo e quindi al dettaglio. Anche questo pensare in piccolo, secondo l’autore, ci permette di restare ancorati al presente.
Immergersi nel flusso e rimanere ancorati
Poi c’è il concetto di flusso, che anch’esso si collega al qui e ora: mentre scrivo, penso solamente al fatto che sto scrivendo (e a quello che scrivo ovviamente!) ma isolo questo pensiero dal resto, dal dopo, da quello che succederà quando cliccherò ‘pubblica’ e questo pezzo andrà nel mondo.
Difficilissimo. Però in effetti mi sembra molto efficace perché mi permette di concentrarmi su ogni singola parola che sto scrivendo e sulla loro precisione e sul fatto di riuscire davvero a tradurre il pensiero che ho nella testa che a sua volta è il risultato dell’elaborazione di ciò che ho letto nel libro. Interessante. Parla di flusso anche il libro Flow – The psychology of optimal experience, e che si rifà al concetto di flusso creativo, quello stato ‘di grazia’ in cui ci troviamo quando stiamo facendo qualcosa che ci interessa e ci prende tantissimo e ci dimentichiamo di chi siamo, dove siamo, e del tempo che passa. In cui si è talmente immersi in ciò che facciamo che tutto il resto svanisce.
Mai successo? A tutti prima o poi è successo, magari più facilmente da bambini, quando potevamo (ah, potevamo!) passare un sacco di tempo a giocare con i lego, con le bambole o con il trenino e non avevamo proprio la nozione del tempo e quindi non era un dato da prendere in considerazione. Poi si cresce e il tempo diventa una variabile fondamentale, vincolante direi, non possiamo proprio più ‘perdere tempo’ e siamo sempre alla ricerca di ‘portarci avanti’ (il milanese imbruttito soprattutto!), come se questo ci potesse salvare, ci potesse liberare dell’altro tempo, magari fosse così! E invece dopo esserci portati avanti siamo comunque senza tempo, e allora?
Il flusso e il lavoro
Allora forse ha ragione Mogi quando afferma che anche quando lavoriamo dovremmo imparare a stare nel flusso perché quando siamo nel flusso non lavoriamo per guadagnare soldi o comunque il guadagno smette di essere la nostra priorità (ma poi arriva eh?). “Semmai lavoriamo perché lavorare è fonte di immenso piacere, e il guadagno non è che un valore aggiunto“.
Dimenticarsi di sé, in questo senso, ci permette di goderci il viaggio e diventa anche un requisito fondamentale per poter entrare nel flusso, e una volta che siamo dentro al flusso creiamo qualcosa con un grado di qualità superiore alla norma.
“A volte nella vita lavoriamo con le priorità sbagliate e troppo spesso facciamo qualcosa solo in cambio di una ricompensa, e se le ricompense non arrivano in tempo restiamo delusi. (…) Se invece riusciamo a far sì che lo sforzo, il lavoro, diventi la fonte primaria della nostra felicità, allora avremo vinto la sfida esistenziale più grossa. In altre parole, continuate a suonare anche se nessuno vi ascolta. Disegnate quando nessuno vi guarda. Scrivete un racconto che nessuno leggerà. Le gioie e le soddisfazioni interiori saranno più che sufficienti a mandarvi avanti”.
Non è liberatorio?