Nell’Atlante delle emozioni umane, l’autrice Tiffany Watt Smith individua e descrive più di 150 emozioni umane. Se devo pensare alla mia capacità di dare un nome alle emozioni, e alle loro diverse sfumature, credo che arriverei con fatica a 20. La nostra scarsa, scarsissima preparazione nel campo delle emozioni la dice lunga sulla nostra capacità di interpretarle e gestirle in maniera proficua – e non distruttiva.

Per fortuna si può rimediare 🙂
Io l’ho fatto iscrivendomi a un Master in Intelligenza emotiva, un percorso formativo di un anno alla fine del quale sarò preparatissima sul tema (spero!) e potrò utilizzare al meglio questo stremano (le emozioni, appunto) nel lavoro che faccio. L’intelligenza emotiva – ossia la capacità di dare un nome alle proprie emozioni e di riconoscerle quando si presentano – è considerata infatti una delle skills che saranno maggiormente richieste da qui a 20 anni dal mercato del lavoro.

La differenza tra conoscere e non conoscere le proprie emozioni, quelle che viviamo e/o che si impadroniscono di noi talvolta nei momenti meno opportuni, fa sì che siamo potenzialmente seduti su una miniera d’oro che però all’improvviso – a causa di scavi poco accorti – potrebbe farci saltare per aria.
E’ quello che accade quando non riusciamo né a dare un nome, né quindi a riconoscere, una certa emozione: in quel momento, anziché gestirla (affrontarla, tenerla a bada, sprigionarla o qualsiasi altra cosa in mezzo) ne siamo dominati, è lei che decide per noi, e noi diventiamo burattini nelle sue mani, con tutte le conseguenze del caso.

Conoscere, riconoscere, gestire le emozioni: perché mai?

Le emozioni hanno una incidenza su di noi sia che esse siano consce, sia che siano inconsce; in questo senso, hanno la capacità di potenziarci, o di depotenziarci. Per questo motivo, ma non solo per questo, sarebbe bene utile quantomeno ampliare il nostro spettro di conoscenze. Tra le 156 emozioni citate da T. Watt Smith ce ne sono diverse in altre lingue, intraducibili in italiano, a dimostrazione delle infinite sfumature (e fascino!) delle emozioni, e della ‘impreparazione’ della lingua ad accoglierle tutte.

Il ‘warm glow’ per citarne una è l’emozione che descrive il piacere che ci danno i nostri gesti di altruismo e di gentilezza verso gli altri; abhiman è invece la parola sanscrita che evoca il dolore e la rabbia causati quando a farci male è una persona che amiamo, e da cui ci aspettiamo di venire trattati con gentilezza.

Che cosa rende interessante conoscere, dare un nome, e poi essere consapevoli delle emozioni che che si muovono o che si agitano  dentro di noi? Per molto tempo le emozioni sono state tenute in soffitta dalla cd. società della performance, e dall’idea che la guida, ossia che è meglio dare alle emozioni poco spazio perché rallentano la nostra prestazione (lavorativa, ovviamente!). Tutto vero.
Peccato che in quel ‘rallentamento’ c’è l’essenza del nostro benessere: vivere con le emozioni è ciò che ci assicura una vita felice, perchè è ciò che ci rende individui capaci di ‘stare al mondo’, idea che è derivata a contrario dagli studi sulle persone che non esprimono le loro emozioni: la loro vita è molto meno appagante.

Come le emozioni possono rendere la nostra una vita di benessere?

Il primo passo è imparare a conoscere e a individuarle, comprenderle profondamente e saper distinguere le emozioni del passato da quelle del presente

  • comprendere profondamente le nostre emozioni attuali, cd. insightfulness.
  • vivere nel presente (non nel passato e tantomeno nel futuro): conoscere se stessi, avere delle buone fondamenta, possedere la propria identità
  • avere delle relazioni fluide e approcciare gli altri con apertura e comprensione
  • essere autentici: vivere la vita secondo i propri valori
  • praticare il gioco: prendere la vita con leggerezza e gioia

Facile? Per niente!

Però si può cominciare a studiarle e a prestare maggiore attenzione alle emozioni che ci “attraversano” e a come reagiamo ad esse, anche perché talvolta le connessioni sono tutt’altro che evidenti.

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