Lavoro in proprio, nel senso proprio del termine, da quando sono coach, ossia dal 2016. Ma sono sempre stata una freelance e ho raramente lavorato come dipendente. Questa più recente esperienza, tuttavia, è stata decisamente la più formativa sia grazie alla natura del lavoro che svolgo – che è di per sé formativo e di crescita – sia perché effettivamente è stata la prima esperienza da “one (wo)man show”. E ho imparato davvero un sacco di cose.

Dopo aver lavorato con partita iva per diversi anni in una casa editrice, da quando ho cominciato a fare questa professione, tra 2015 (tirocinio) e 2016 sono stata io, sempre e soltanto io al timone della barca. Non che prima “facessi” del tutto la dipendente: riuscivo comunque a trovare degli spazi di manovra soprattutto con riguardo al tempo, ma in ogni caso non ero sicuramente quella che reperiva i clienti, i progetti, le consulenze.

Come lavoro adesso

Da qualche anno, invece, sono io quella che si occupa del marketing, delle vendite, degli acquisti, delle partnership, della logistica e di tutto ciò che serve per svolgere questo lavoro. All’inizio questo passaggio mi ha fatto una gran paura, poi quando mi sono effettivamente buttata ero molto desiderosa di imparare e di imparare a fare. Ora lo rifarei 1000 volte e sarei pronta a replicare il modello per svolgere altre attività.
Ma il coaching mi piace ancora tanto e per ora non ci penso proprio a cambiare!

Il salto più grande che ho fatto – e un grande passo fuori dalla mia comfort zone – è stato senz’altro riuscire a vendere quello che facevo, quello che faccio. E’ stato faticoso, decisamente, e ci è voluto del tempo, ma il bello del lavorare in proprio è proprio che ti devi spingere sempre un po’ più là di quello che avevi immaginato. Ho imparato, sì, ma continuo ad imparare perché ogni volta è una sfida e un’occasione per trovare nuove modalità di proporsi.

La crescita continua

Quando ho lasciato il lavoro precedente non sapevo che cosa mi aspettava: mi ero iscritta al Master in coaching ma più per interesse personale che per esercitare questa professione. Avevo voglia, quella sì e tanta, di fare una salto in avanti, di studiare e di studiarmi, di scoprire aspetti di me che ancora non conoscevo e che non erano venuti a galla, o che se erano venuti a galla dovevo – avevo voglia – di approfondire. La formazione del Master in Accademia della felicità è stato tutto questo e molto di più: alla fine, dopo le ore in aula e quelle di tirocinio (100) mi sono ritrovata con un lavoro in mano, nuovo per me e nuovo per il mercato, ma che avevo imparato a fare. Su questo non avevo dubbi o perplessità.

La perplessità – o forse dovrei dire meglio: la paura – era piuttosto legata a: qualcuno vorrà darmi dei soldi per quello che offro, per quello che faccio? La risposta non avevo tanto tempo per aspettarla, avevo fatto già 100 ore di tirocinio gratuito e avevo bisogno, urgenza, di cominciare a guadagnare qualcosa: per una che ha sempre lavorato, rimanere un anno senza soldi non è stato proprio semplice. Quindi mi sono buttata. Ho sbagliato, ho fatto cose che avrei potuto fare meglio (certamente!), ma ho cominciato a vendere il mio lavoro, il coaching.

Ho studiato ancora quindi, per capire come potevo fare a vendere quello che avevo imparato a fare, cercando di capire quello che le persone mi portavano, quello che mi avevano portato durante il tirocinio: quali problemi? Quali necessità? Quali insofferenze e insoddisfazioni?

E’ stato facile? Per niente. Vendere un servizio come il coaching è molto complicato.

Oggi e domani

Da tutti questi anni di lavoro con le persone ho capito un sacco di cose che non mi erano mai state così chiare, la prima fra tutte e che è inutile cercare di avere una visione chiarissima e precisissima di come andranno le cose prima di fare un passo, ma che bisogna fare quel passo per avvicinarsi ogni giorno che passa sempre di più ad avere una visione sempre più chiara e precisa.

Ed è questo secondo me il tema dei temi quando si tratta di mettersi in proprio: aspettare di avere il castello costruito prima di cominciare a viverci. Non funziona così. E’ destabilizzante? Forse. E’ impegnativo? Sicuramente. E’ una sfida? Certo! E’ una totale mancanza di sicurezze? Sì! E’ fare l’imprenditore, ossia rischiare.

Imprenditore = sostantivo riconducibile al verbo imprendere, proveniente dal latino volgare *imprehendĕre, ‘intraprendere’, formato dal prefisso locativo in- e prehendĕre ‘prendere’, letteralmente ‘prendere sopra di sé’, che indica l’azione di cominciare qualcosa, di avviare un’iniziativa.

E’ chiaro da questa definizione dell’Accademia della Crusca che difficilmente chi “comincia qualcosa” ne ha già ben delineati e in testa tutti i dettagli, gli aspetti, i materiali che servono e gli investimenti. Il dettaglio arriva dopo, a volte molto dopo.

Tendiamo invece a confondere quello che noi vediamo alla fine del percorso come l’unica cosa, ma in realtà prima di arrivare ci sono stati millesima passi falsi e altrettanti errori. Le biografie dei “grandi” imprenditori ce lo dicono chiaro: in quella del fondatore della Nike c’è un racconto lungo, doloroso, faticoso e carico di errori, e solo forse le ultime pagine sono dedicate all’impero che è oggi.
Prima c’è tutta la fatica, gli errori, gli scazzi, i dubbi, i debiti, le scelte sbagliate, le ricerche, lo studio: oggi, molto tempo dopo, c’è l’impero economico che tutti conosciamo. Ma all’inizio c’era solo un tizio che correva e che voleva delle scarpe più comode per farlo e si messo prima a importarle dal Giappone, e poi a farle. Fine.
Credo che sia stata una delle letture più illuminanti per me, che ha superato di gran lunga tutti i manuali sul mettersi in proprio/fare marketing/vendere servizi eccetera.

Però le tante cose che ho imparato posso metterle a questo punto a disposizione di chi è in proprio o vuole mettersi in proprio, e vuole farlo alle sue condizioni. Una delle tante cose che ho scoperto strada facendo è che non c’è un solo modo di fare business ma ce ne sono tantissimi, e che ognuno deve trovare il proprio: il che è certamente più faticoso che seguire un set di regole predefinite, ma sicuramente più utile e duraturo. Non credo all’esistenza delle “X regole che devi assolutamente conoscere” per metterti in proprio. Sono solo slogan, sono solo marketing, sono solo tentativi di darti una scorciatoia, ma la scorciatoia, ahimè, non c’è.

E’ solo il grosso lavoro su noi stessi che ci porta a creare… quello che vogliamo creare e poi vendere.

Per aiutare sempre più donne a fare propria questa mentalità, dal 2022  conduco un gruppo di Mentoring, nel quale condivido tutto quello che ho imparato in questi anni, non perché abbia la pietra filosofale del “mettersi in proprio”, ma perché credo di avere un’esperienza che può essere utile a molte donne che decidono di intraprendere questa strada.

Il mio gruppo di Mentoring è uno spazio dove confrontarsi, cercare e trovare supporto di altre persone che lavorano in proprio e vivono le stesse difficoltà, avere feedback e suggerimenti, avere anche una spalla su cui piangere o sfogarsi. E avere anche un piccolo gruppo di persone che tifa per te e per il successo del tuo business!

La nuova edizione del mio Mentoring comincia a ottobre 2023 e finisce a giugno 2024, 2 call al mese, oltre a tutto il mio supporto.

(Forse) siamo isole, ma dobbiamo costruire ponti.