Nel percorso della Via dell’artista parliamo spesso – e tanto – di cosa significhi essere creativi, o artisti, e di cosa blocca ognuno di noi dall’esprimere la nostra creatività, in qualsiasi modo; del perché gli artisti non amino sporcarsi le mani con il vil denaro; di come possiamo allenare la nostra creatività giorno per giorno, per poi applicarla nella nostra vita quotidiana; del fatto che tutto è già stato ‘inventato’, ‘scritto’, ‘dipinto’ e via così per ogni cosa.

Di come, infine, la creatività sia un muscolo che va allenato – ma con particolari attenzioni. E della paura che hanno tutti, abbiamo tutti, di esporci all’esterno con quello che abbiamo creato.

Vivere una vita creativa

Cosa significa vivere una vita creativa? Significa essere un artista? Significa vivere di ciò che si crea? E ciò che si crea deve per forza avere a che fare con l’arte?
Non ho le risposte a tutte queste domande, ma credo fortemente che la creatività debba trovare spazio nella vita di tutti noi, qualsiasi sia il lavoro che facciamo e la vita che abbiamo, per il semplice motivo che la creatività ci aiuta a vivere meglio, a rendere la nostra vita e il nostro lavoro più interessanti e divertenti.

Quante persone si lamentano di non avere una vita creativa? Molte. Quante fanno sul serio qualcosa per essere più creativi? Pochissimi. E credo che il problema non stia nella mancanza di volontà (o non solo) ma piuttosto nella paura di mettersi in gioco, nella paura di esporsi con un’idea, un progetto, una propria creazione (artistica o no), un libro, un quadro. Di fronte a questa eventualità, ci ritiriamo cordialmente, decliniamo l’invito, giriamo la testa altrove, ci diciamo (e raccontiamo al mondo) che siamo troppo impegnati, troppo stanchi, troppo giovani o troppo vecchi, che insomma ci manca sempre qualcosa (il tempo, lo spazio, il denaro) per metterci a fare qualcosa di creativo.

Il fatto è che forse perdiamo di vista che:

  1. nessuno ci dirà mai ok sei pronto vai
  2. se non ci occupiamo noi della nostra creatività, se non ne occuperà nessuno
  3. non è necessario esporsi al mondo – non sempre, dipende da quel che si vuole creare, no? Un libro certamente ha come destinazione un lettore, magari molti!, ma il disegno che scarabocchiate in un momento di relax probabilmente no. Eppure, anche quello, è un modo per coltivare la creatività
  4. la creatività è una qualità sempre più necessaria, sicuramente per vivere meglio, ma anche per lavorare meglio
  5. la creatività coltivata in un certo campo può esserci utile anche in altri: essere capace di connettere mondi lontani è un atto creativo.

Tutto è già stato inventato, scritto, dipinto

Vero. Ma da un’altra persona. Vero che difficilmente riusciremo a diventare il nuovo Caravaggio, ma questo deve forse impedirci di dipingere? Di prendere in mano le matite e disegnare? Di fare un disegno brutto o bello che sia?
Se partiamo dal presupposto che non saremo mai come Caravaggio, o meglio se lo facessero tutti, il mondo non avrebbe un’evoluzione. Invece ce l’ha. E quindi? Quindi forse è il presupposto, è il paragonarsi a Caravaggio che non funziona. Sarò quel che sarò, sarò io, e farò i miei scarabocchi. Alle volte mi piaceranno, altre volte mi faranno schifo, ma quello che conta è nel mezzo del processo, mentre ero lì con le mie matite in mano, io fossi felice e non sentivo il tempo che passa. Ero nel flow, nel flusso, in quello stato di grazia in cui ci sei solo tu, e le pagina che stai disegnando o su cui stai scrivendo o l’oggetto che stai forgiando, e il tempo e lo spazio attorno a te svaniscono.
Ed è lì, in quel preciso momento, che nutriamo la nostra parte creativa. Quella che ci fa trovare la soluzione ad un problema, quella che ci fa affrontare un problema in modo diverso da come è stato fatto in passato (e questa è innovazione), quella che salterà fuori al momento buono, proprio quando ci serve un’idea.

Le paure che ci bloccano dall’essere creativi

Brenè Brown afferma che per essere creativi bisogna essere vulnerabili. Ed essere vulnerabili fa paura, paurissima: vuol dire esporsi, rischiare, senza sapere quale potrebbe essere il risultato. Ma farlo lo stesso.
Peccato che ci abbiamo insegnato che la vulnerabilità è più o meno il male assoluto, la cosa peggiore che ci possa capitare, una cosa da cui tenersi lontani. Ahahah. Già.
La cosa buffa è che non è proprio così, nel senso che non possiamo tenere lontana la nostra vulnerabilità ‘a comando’: se non siamo consapevoli della nostra vulnerabilità, e di ciò che significa, e di come possiamo trarne vantaggio, lei resta lì lo stesso, agisce lo stesso su di noi. Come? Seminando il terrore. No, non farlo potrebbe essere pericolossimo, resta chiuso nel tuo guscio, tieni chiusa e salda l’armatura e tutto passerà presto.
“Bullshit!” (cito la Brown).

Secondo la Brown dunque, per essere coraggiosi dobbiamo essere vulnerabili. E quindi? Cosa significa esattamente?
Significa che dobbiamo rischiare.
Significa che dobbiamo esporci, dire la nostra opinione, combattere per le nostre idee.
Significa che dobbiamo accettare l’idea che non sarà agevole, che non sarà una passeggiata, che non sapremo come andrà a finire: ma che va bene così.